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Riflessioni semiserie sul ruolo paterno in quanto sfida culturale


Riflessioni semiserie sul ruolo paterno in quanto sfida culturale

Sempre più spesso oggi le nostre orecchie sentono frasi del tipo “in una società moderna i ruoli tradizionali non esistono più!”, o ancora “è aumentata la qualità della vita a favore della donna, che vede la sua apparizione nel mondo del lavoro!”, ed ancora “la società patriarcale non trova più posto nella società odierna!”.
Ma vi risulta che sia vero tutto ciò? O meglio, ci risulta che la società tradizionale, fatta di ruoli e di genere (maschile e femminile/ celeste e rosa) abbia ceduto il posto ad una visione della vita in generale più ampia e scevra da ogni pregiudizio?

Alla domanda “che funzione ha la figura paterna nello sviluppo psicologico del bambino?” le risposte risultano ancora (ahimè) legate ad un immagine di società non solo tradizionale, ma peggio ancora inesistente.
Sembra ridondante ammetterlo ma il risultato di ciò è da ricercarsi nei contesti socio-culturali nel quale viene identificato un padre-protettore-lavoratore-autoritario, in primis nella religione cristiana (ma non solo) che, a suo modo, ha contribuito a diffondere questo modello familiare considerando i ruoli genitoriali distinti e complementari: da un lato abbiamo la madre, angelo del focolare, simbolo dell’amore incondizionato e della tenerezza e il padre, allegoria della legge e dell’autorità (e aggiungerei padre-bancomat, perché lavora e porta il pane a casa).
Nel corso degli anni sono state tante le ricerche fatte in ambito non solo psicologico ma multidisciplinare, e mi riferisco specialmente a quelle antropologiche e sociali che hanno avuto come scopo quello di dimostrare come gli uomini siano cresciuti in un contesto che ha generato la credenza che accettare i propri bisogni (aggiungerei bisogni di tipo anche fisico di vicinanza, accoglienza e supporto) significhi riconoscere le proprie debolezze. A questa aspettativa dell’uomo è collegata l’immaginario collettivo (unanime) che i maschi debbano respingere i propri sentimenti o comportamenti femminei (e anche solo scrivendo questa frase ci rendiamo conto di quanto alla necessità e al bisogno di crescita di un figlio vengano accostate parole come femmineo e/o femminile) a favore di atteggiamenti basati sulla freddezza e indipendenza. Soventemente proprio l’indipendenza del maschio viene messa in discussione alla nascita del figlio, provocando un forte senso di minaccia alla propria identità maschile.
            La domanda da porsi a questo punto viene spontanea: in una società che ha influenzato la cultura dell’essere maschio ed essere padre, che ha accettato la differenziazione netta dei ruoli (maschile e femminile/ celeste e rosa /micro machines e barbie) e che ha fortemente concentrato l’attenzione sulla donna/ madre in quanto figura di attaccamento per eccellenza, anche a causa di un legame “naturale” o “biologico” e di una predisposizione a fare figli (perché noi donne siamo state concepite per concepire!), c’è ancora spazio per revisionare o meglio ancora ritrovare l’importanza della figura paterna, emotivamente partecipante allo sviluppo psico-fisico del figlio?
Questa potrebbe esser considerata una vera e propria sfida culturale, nel momento in cui si rischia di andare contro un prototipo maschile costruito su mere convinzioni sociali, etichette indelebili, che metterebbe in discussione l’intero universo paterno (e non sia mai. Lungi da me mettere in crisi l’universo maschile e tutta marte!).

La sfida più ardua sarebbe considerare il padre come figura di attaccamento, non secondaria o marginale, ma equivalente a quella materna, con funzioni e coinvolgimenti specifici (attenzione, qui non si sta parlando dell’importanza per il bambino di avere accanto entrambe le figure, madre e padre, per un ottimale sviluppo, ma semplicemente di dare al padre – uomo – maschio un ruolo realmente attivo alla crescita del figlio).
Ma facciamo un passo indietro, cosa è una figura di attaccamento? L'attaccamento può essere definito come un sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che s’instaurano fra bambino e adulto. In psicologia, il termine attaccamento è legato alle ricerche sullo sviluppo e sull'infanzia, in relazione ai legami che si creano con le figure di accudimento. Il primo a proporlo come concetto cardine per spiegare il comportamento dei bambini fu John Bowlby. Secondo l’autore, il bambino, appena nato, è tendenzialmente portato a sviluppare un forte legame di attaccamento con la madre o con chi si prende cura di lui (figura anche definita con il termine inglese di caregiver) (non si parla più esclusivamente di Madre!). In base alle risposte che i genitori (o i caregiver) daranno al bambino, si produrranno in seguito diverse tipologie di legame e attaccamento. Mary Ainsworth, psicologa dello sviluppo, ha descritto diversi tipi di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente e disorganizzato.
Attraverso una serie di sperimentazioni, Mary Ainsworth e John Bowlby hanno potuto notare come il comportamento di attaccamento sicuro, osservato tra la madre e il suo bambino, oltre a fornire protezione al piccolo, serviva a costituire una "base sicura" a cui il bambino potesse ritornare nelle fasi di esplorazione dell’ambiente circostante. Questa "base sicura" permette così di promuovere nel bambino un senso di fiducia in se stesso, favorendone progressivamente l’autonomia.

Ritornando alla figura maschile/paterna, “il padre come fattore di trasformazione nell’attaccamento infantile”, è un “padre ritrovato” (M. Andolfi) e questa nuova teoria apporta un enorme progresso nel considerare il ruolo paterno in grado di travolgere positivamente lo sviluppo del figlio e di fungere da elemento peculiare nella formazione dei legami di attaccamento infantile. La funzione del padre è da ricercarsi nella capacità di modificare i modelli operativi interni del bambino, ma anche della moglie - compagna, influenzandone i legami di coppia e la relazione madre - bambino. Il ruolo paterno può essere visto sotto un’ottica diversa, quello di costituire una funzione di “protezione”(M. Ainsworth).

A questo punto, non resta altro che concordare sulla fondamentale presenza di un padre all’interno della famiglia, essenziale non solo in tutte le fasi della crescita del figlio, ma anche nella costruzione della sua identità. Si ritiene, pertanto, che la sua funzione sia “diversa” nel rapporto con la femmina e con il maschio (ma non è questa la sede per parlarne).
Da ciò, però, si deduce una certa emergenza nell’affrontare questioni delicate, sulla presenza e importanza della figura paterna, che non possono più esser prese con superficialità e banalità, ma al contrario, l’auspicio e che si diffonda una nuova cultura del paterno – infantile, diventando oggetto di studio a pieno titolo nelle teorie e nei modelli di età evolutiva, e che sia riconosciuto nei servizi di cura per l’infanzia, che non possono esser definiti più materno – infantile.
Nell’ultimo periodo si assiste ad un’accelerata dei processi di sostegno e appoggio nei confronti di tale figura. Basti pensare alle diverse misure di sostegno genitoriali, pronte a promuovere una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia, come anche percorsi creativi svolti all’interno di scuole d’infanzia per riflettere sull’importanza del ruolo educativo del papà. Non solo, ma è nato anche il congedo obbligatorio per il padre (era ora!), a dimostrazione del fatto che il padre c’è e ci deve essere!

Questa trasformazione dei padri potrebbe quasi farci sorprendere, forse che la nostra società si stia ribellando al vecchio modello di figura paterna e stia cercando di far ritrovare una nuova identità e personalità di padre non più legato all’informalità, all’assenza da casa o come detentore di verità assolute, che ne faceva un modello intoccabile, ma di un padre con dei normali e naturali (e universali) sentimenti e responsabilità sufficienti per esser considerato una colonna portante delle relazioni familiari?
E’ necessario che il padre venga ritrovato non solo dal contesto sociale e familiare ma anche dai mass media, istituzioni, sottolineando quelle trasformazioni già in atto delle famiglie e convenendo sul fatto che il padre è una risorsa e non un elemento sovrastante nella gerarchia familiare.
Forse che sia arrivato il momento di farci noi stessi promotori di cambiamento ma prima di tutto di riflessione.
Si possono esplorare nuovi modi di essere padre. Possiamo ricercare risorse e sensibilità specifiche del maschile nella crescita dei figli, al di là dei pregiudizi e degli stereotipi sociali, che oscillano tra il vecchio modello dell’autoritarismo paterno privo di anima e il nuovo prototipo di mammo, che per accedere al mondo del figlio dovrebbe imitare il materno, senza scoprire invece una sua propria identità. 


Maria Antonietta Manzi
Psicologa, Madre e Donna


Bibliografia

Andolfi M., (2001) Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemico-relazionale, Franco Angeli.

Bowlby J., (1989) Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento, Cortina, Milano.

Ainsworth M., Bowlby J., (1965). Child Care and the Growth of Love. London, Penguin Books.

Peter Fonagy, Mary Target, Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina, Milano 2001


Mary Ainsworth, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Raffaello Cortina, Milano 2006

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